sabato 19 giugno 2010

Effetti di un aumento della tassazione sulle cosiddette rendite finanziarie delle persone fisiche.


Effetti di un aumento della tassazione sulle cosiddette rendite finanziarie delle persone fisiche.

I redditi da investimento finanziario, plusvalenze, dividendi e interessi, sono "redditi", e non "rendite". Il termine "rendita" nelle scienze economiche ha tutt'altro significato, definisce il guadagno che deriva dalla proprietà della terra. L'uso errato del termine sembra voler suggerire l'idea che i percettori di redditi finanziari, i risparmiatori, siano dei parassiti che vivono, appunto, "di rendita", senza produrre nulla (*). La realtà è ben diversa. Chi oggi non dedica tempo, lavoro, energie e soldi nella personale ricerca del miglior investimento finanziario, e investe a caso, sicuramente non sta guadagnando niente, anzi sta rimettendoci. Chi si affida alla gestione altrui non arricchisce, ma fa arricchire il gestore. Se oggi si vuole avere dei redditi reali dagli investimenti finanziari, occorre divenire dei trader a livello semiprofessionale, o almeno provarci; ed è questo che hanno fatto decine di migliaia di risparmiatori. Il lavoro di investimento finanziario è un lavoro durissimo, senza orari né ferie, ad altissimo rischio (soprattutto in Italia, dove sono carenti o inesistenti delle reali protezioni per i risparmiatori), lavoro che richiede una preparazione e un impegno enormi, continui, impensabili.

In materia di risparmio e tassazione del risparmio vi è una diffusa mancanza di conoscenza. In troppi esprimono pareri sulla base di irreali concezioni demagogiche ed ideologiche, senza il fondamento di una precisa conoscenza tecnica della questione. Gli errori più grossolani che solitamente si fanno sono sostanzialmente due. Il primo consiste nel considerare il reddito finanziario nominale, e non quello reale, cioè depurato dall'inflazione che colpisce il patrimonio investito. Il secondo errore viene commesso quando si vuol mettere sullo stesso piano le aliquote nominali di imposte profondamente diverse fra loro quali sono, dettagliatamente, l'imposta sul reddito delle persone fisiche, l'imposta sui redditi societari che colpisce le imprese, e l'imposta sostitutiva che viene invece applicata ai redditi finanziari: la diversa formazione della base imponibile di ciascuna di queste imposte fa sì che una ipotetica identica aliquota nominale, poniamo del 20%, pesi molto di più nel caso di imposta sostitutiva, nettamente di meno per l'imposta sul reddito delle persone fisiche, e ancor meno per l'imposta sulle imprese. Il mettere sullo stesso piano le aliquote nominali delle tre diversissime imposte, così come il non tenere conto dell'inflazione che colpisce i risparmi, possono anche essere fatti in buona fede, ma costituiscono tuttavia grossolane manifestazioni d'incompetenza.

Esaminiamo sinteticamente quali sono le tipologie più comuni di redditi da investimento finanziario:

dividendi: parte degli utili di una società distribuita agli azionisti. Il risparmiatore che investe acquistando azioni di una società diviene comproprietario pro quota di quella società;

plusvalenze o capital gains: differenza tra il prezzo di acquisto e quello di vendita di uno strumento finanziario, azione, obbligazione, future, ecc.. Il risparmiatore, con un difficile lavoro di trading, cerca di guadagnare sulla differenza di prezzo, rischiando però molto seriamente di perdere;

interessi: remunerazione del capitale prestato. Il risparmiatore, investendo in (cioè comprando) obbligazioni (bond) emesse o da stati (BTP, BOT, Bund.) o da società private (corporate), presta loro soldi, rischiando di non riaverli indietro (bond Cirio, bond argentini), e in cambio riceve un interesse. Non rendono più quasi nulla, invece, depositi e conti correnti, anzi questi ultimi spesso generano costi netti per il correntista.

In tutti e tre i tipi di redditi finanziari ora visti, vi è un reddito - guadagno reale solo se a fine anno l'accrescimento monetario del denaro del risparmiatore è superiore alla perdita di valore, di potere d'acquisto del denaro stesso, cioè se è superiore all'inflazione effettiva; altrimenti c'è una perdita reale (o rendimento reale negativo). In questi ultimi anni i guadagni monetari sono stati e sono tuttora mediamente inferiori all'inflazione effettiva, quindi i risparmiatori stanno perdendo ricchezza; questo ha generato la corsa all'acquisto degli immobili, con conseguente bolla speculativa immobiliare. In sintesi, il vero reddito, ipoteticamente da tassare, sarebbe quello che rimane dopo aver sottratto l'inflazione al rendimento nominale: invece oggi l'imposta colpisce tutto il reddito, anche quella parte annullata dalla perdita del potere d'acquisto dei risparmi investiti. Ciò nonostante, in occasione delle finanziarie degli ultimi anni, sono state da più parti avanzate pressanti proposte di un ulteriore aumento della tassazione del risparmio.


Vari economisti, come Luigi Einaudi, hanno storicamente espresso seri dubbi sulla opportunità e utilità della tassazione dei redditi da investimento finanziario, tassazione ritenuta controproducente per lo sviluppo del paese; ciò in quanto:

1. il risparmio è denaro, moneta, e come tale è soggetto ad inflazione, cioè a perdita di potere di acquisto, ovvero a perdita di valore. Questa perdita di valore va a favore dello stato, uno stato debitore in quanto è lui, direttamente o tramite enti da lui controllati, che emette tale moneta. Quindi l'inflazione è una tassa, anzi, è il più pesante e subdolo tributo di cui già si avvantaggia lo stato. Tutti sperimentiamo quotidianamente che in Italia c'è un'inflazione ben superiore a quella ufficialmente dichiarata dall'ISTAT: questa inflazione reale è il tributo che i risparmiatori già pagano al fisco, cui si aggiunge l'attuale imposta sostitutiva del 12,5% che ora si vorrebbe aumentare;

2. i possessori di grandi patrimoni mobiliari non verranno minimamente scalfiti da tale aumento della tassazione sui redditi finanziari, in quanto costoro o hanno già la residenza fiscale all'estero, o hanno messo in atto escamotage di fiscalità internazionale, quali i trust offshore, per cui già oggi non pagano all'Italia un centesimo di tasse su tali grandi capitali mobiliari, né l'Italia può e potrà fare nulla contro di loro; quindi l'aumento della tassazione sui redditi finanziari di fatto andrebbe a colpire solo i piccoli e medi risparmiatori;

3. i risparmiatori sono stati i soggetti più svantaggiati nella redistribuzione del reddito degli ultimi anni, tra rendimenti reali negativi, crollo della new economy, crack di società quotate (Parmalat, Cirio, Ferruzzi.); nel contempo i prezzi degli immobili, ritenuti l'unico vero bene rifugio tutelante dall'inflazione, sono saliti alle stelle gonfiati per di più dai tassi di interesse ai minimi del secolo;

4. decine di migliaia di risparmiatori nei decenni scorsi hanno ripopolato Svizzera, Montecarlo e Austria, fuggendo dall'Italia, portando via i loro soldi anche quando il farlo costituiva reato, pur di difenderli dallo stringersi della tenaglia fisco - inflazione; far fuggire anche gli ultimi rimasti sicuramente non aiuta l'Italia a risalire la china dello sviluppo economico. Se verrà elevata l'aliquota sui redditi finanziari l'Italia avrà perso per tali risparmiatori l'ultima debole attrattiva che le era rimasta. Di paradisi fiscali sparsi per il mondo (o neanche troppo lontani) che li aspettano a braccia aperte, e già pieni di Italiani, ne trovano quanti ne vogliono. E gli anni '60 e '70 hanno ampiamente dimostrato che i capitali in fuga non possono essere fermati;

5. la diminuzione dei redditi da risparmio, annientati dalla morsa bassi rendimenti - aumento della tassazione, ha devastanti effetti depressivi su economia e consumi, innestando una spirale di stagnazione che può durare decenni, come è successo in Giappone;

6. la fuga dagli investimenti finanziari spingerebbe la gente ad investire ancora di più in immobili, e quindi causerebbe un ingigantirsi della bolla speculativa immobiliare, con prezzi degli immobili già ora insostenibili;

7. a livello di Scienza delle finanze, il beneficio per l'erario derivante dall'aumento della tassazione sui redditi finanziari è irrisorio e quanto mai incerto, con più svantaggi che vantaggi, mentre ne è ben chiara la creduta valenza politico-demagogica, oltretutto nettamente obsoleta in relazione all'attuale composizione del patrimonio della maggioranza degli Italiani;

8. chi ha risparmi da investire in strumenti finanziari, ha tali risparmi perché ha messo da parte una quota dei suoi redditi: redditi già tassati dall'imposta sul reddito nei periodi fiscali in cui sono stati percepiti; i risparmi sono quindi reddito già tassato;

9. i dividendi, in quanto utili societari, sono già tassati in capo alla società, la quale li distribuisce al netto dell'imposta societaria ai risparmiatori-azionisti, i quali poi, nuovamente, pagano l'imposta sostitutiva su di essi; i dividendi sono quindi già doppiamente tassati;

10. le plusvalenze e gli interessi sono guadagni per chi li percepisce, ma perdite per chi li paga: il saldo finale per l'intera economia è zero, non vi è valore aggiunto assoggettabile equamente a tassazione, né motivi equi per cui il fisco si intrometta tra chi perde e chi guadagna;

11. certi industriali non possono scaricare la colpa del mediocre andamento delle loro imprese sul carico fiscale che subiscono, di fatto bassissimo: l'aliquota sul reddito d'impresa è fittizia, visto che si applica non su tutto il reddito, ma solo sul reddito imponibile, e qualsiasi commercialista è in grado di decimare l'imponibile del reddito d'impresa. Tutta una serie di fasce esenti, deduzioni e detrazioni sono previste per tutti gli altri tipi di reddito, a cominciare dal reddito da lavoro dipendente. Le aliquote sui redditi finanziari, invece, si applicano senza sconti su tutto il reddito, fino all'ultimo centesimo, non essendovi alcuna possibilità di dedurre costi e spese dall'imponibile. Si applicano anche sulle perdite da inflazione. Quindi il paragonare l'aliquota solo nominalmente più alta del reddito d'impresa o di lavoro a quella del 12,5% sui redditi finanziari non ha senso. Il vero problema, insormontabile, è che il costo del lavoro italiano è dieci volte quello cinese o indiano;

12. per i risparmiatori le perdite finanziarie (minusvalenze) sono deducibili dal reddito imponibile solo per quattro anni, quando i cicli economici e di borsa durano ben più di quattro anni. Esemplificando molto, se nell'arco di dieci anni il risparmiatore ha guadagnato 10 e perso 20, con un risultato finale netto negativo (perdita) di -10, ha comunque buone probabilità di pagare tasse come se avesse guadagnato +5: può sembrare assurdo, ma è così, questa è la legge in vigore;

13. gli stessi trader professionisti additati come "speculatori" sono decine di migliaia di onesti lavoratori che producono ricchezza, contribuiscono a far affluire denaro in borsa, non chiedono i sussidi o il pizzo a nessuno, pagano l'inflation tax e l'imposta sostitutiva fino all'ultima lira, e se operano anche sulle borse estere portano e spendono i loro profitti in Italia: non si capisce perché questo settore che produce ricchezza e occupazione debba essere penalizzato da misure fiscali punitive; l'aumento dell'aliquota dal 12,5% al 20% farebbe diminuire i redditi degli investitori del 7,5%: su di un reddito annuo, ad esempio di 20000 euro, al risparmiatore verrebbero estorti, oltre ai 2500 euro che già paga, altri 1500 euro (il tutto senza contare l'inflazione); e pensare che per la tassazione dei redditi dei dipendenti si litiga per 100 o 200 euro in più o in meno...;

14. è semplicemente priva di senso l'affermazione che l'aumento dal 12,5% al 20% dell'aliquota su BOT e guadagni di borsa verrebbe compensato dalla diminuzione dal 27 al 20% della tassazione sui conti correnti (in questo consisterebbe la cosiddetta "armonizzazione delle aliquote"): i conti correnti non rendono praticamente nulla, anzi, spesso danno rendimenti infinitesimali ben inferiori al loro costo, servono solo a parcheggiare moneta; su cosa verrebbe abbassata l'aliquota dal 27 al 20%, sul nulla? Il reddito per i risparmiatori viene dai BOT e dai guadagni di borsa: l'"armonizzazione" delle aliquote maschera, male, un aumento della tassazione del risparmio;

15. l'altro pretesto addotto a sostegno dell'aumento della tassazione del risparmio, la pretesa necessaria "armonizzazione" della nostra tassazione a quella degli altri paesi europei, è anch'esso infondato: la tassazione dei redditi finanziari (come dei profitti d'impresa) nei 25 paesi europei e' diversissima, e vi sono paesi in cui i redditi finanziari sono completamente esenti da tassazione; sulla tassazione dei redditi finanziari ogni paese va avanti per conto suo. Da sottolineare comunque che nei paesi dove esistono già misure fiscali vessatorie, le banche e le SIM non irrilevanti che si occupano esclusivamente di investimenti in borsa, per ciascuna nazione, non arrivano alle dita di una mano: in Italia, costituendo un patrimonio di professionalità e di lavoro tutto italiano, ne sono oltre 20, tra cui le migliori e le più grandi d'Europa, e tra le più efficienti e convenienti al mondo; in caso di aumento della tassazione sul risparmio almeno la metà saranno costrette prima ad appesantire le commissioni e poi a chiudere i battenti, licenziando i dipendenti. La vera tendenza internazionale, a partire dagli USA, è per una consistente diminuzione della tassazione sui redditi finanziari al fine di attrarre i capitali indispensabili per lo sviluppo. Purtroppo in Italia certi industriali non amano finanziarsi tramite i normali canali finanziari e le Borse, e dover così rispondere del loro operato di fronte ai risparmiatori e al mercato. Non ha quindi alcun senso parlare di armonizzazione. E poi si pagano tasse per avere dei servizi: ordine pubblico, giustizia, sanità: i servizi offerti dallo stato agli Italiani non sono neanche paragonabili a quelli dei migliori paesi europei.


L'Italia non subisce alcun declino se gli Italiani preferiscono essere risparmiatori, azionisti o creditori di imprese dislocate all'estero, invece che operai della Fiat. Agli Italiani vanno gli utili, la ricchezza, e all'estero va il lavoro più usurante.

La realtà, la verità, è che all'Italia non servono industrie inquinanti, manodopera importata e inutili burocrati, ma l'Italia ha, quasi unica al mondo, i requisiti di storia, arte, clima, gastronomia, ambiente per divenire la residenza stabile e/o la meta turistica dei ricchi del mondo, e che ciò può portarci ben più ricchezza di qualsiasi altra tipologia di sviluppo economico. Potremmo divenire la Florida dell'Unione Europea, potremmo vivere in un paradiso per benestanti, invece che, tartassati, in un inferno di extracomunitari, di criminalità, spaccio, prostituzione, di inquinamento e di rumori.

Sarebbe molto più intelligente difendere il patrimonio ambientale e culturale, la qualità della vita, e attirare i ricchi, detassando tutti i redditi tipici dei ricchi, tra i quali anche quelli finanziari. L'eliminazione dell'attuale imposta sostitutiva su plusvalenze, dividendi e interessi, stimolerebbe l'investimento in borsa e restituirebbe vitalità a quel meccanismo economico di circolarita' della ricchezza che dovrebbe essere ben conosciuto da Quesnau in poi. Tale meccanismo circolare della ricchezza, generato dall'investimento del risparmio, e al quale la speculazione finanziaria dà stimolo ed energia, dovrebbe costituire il riferimento obbligato per chiunque voglia sensatamente pronunciare la parola "sviluppo".

Ricordo infine che la nostra Costituzione agli articoli 42 e 47 tutela, unitamente alla proprietà privata degli immobili, il risparmio in tutte le sue forme.

Per la crescita della ricchezza di ciascun Italiano e dell'Italia tutta non è necessario che "qualcun altro" paghi più tasse. La via maestra è ridurre sprechi e spese, meno stato e più mercato, e non più tasse a questo o a quello.



(*) Nota: invito il lettore a digitare su Google o su un qualsiasi altro motore di ricerca l'argomento tassazione rendite finanziarie per verificare di persona con quanta malafede, slealtà e scorrettezza la questione venga da taluni trattata; eppure una volta vigeva un Buon Comandamento, quello di non desiderare la roba (e i risparmi) d'altri.


Avv. Filippo Matteucci Di San Ginesio
Privatist Economist for Global Free Trade


"Lo stato non risolve i problemi. Lo stato è il problema."
Ronald Reagan

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